la rosa di Paracelso

....."I miei detrattori, che non sono meno numerosi che stupidi, sostengono il contra­rio e mi accusano di essere un impostore. Non do loro ragione- ma non è impossibile che io sia un illuso. So che esiste una via.”Vi fu una pausa e l'altro disse:“Sono pronto a percorrerla con te. anche se dovessimo viaggiare per molti anni. La­sciami attraversare Il deserto. Lasciami intravedere almeno da lontano la terra promessa, anche se gli astri me ne vieteranno l'accesso. Ma prima di intraprende il viaggio, io voglio una prova.”“Quando?" disse Paracelso, con inquietudine.“Subito”, rispose il discepolo con brusca determinazione.Avevano iniziato la conversazione in latino ora parlavano in tedesco.Il giovane levò in alto la rosa."Affermano", disse, "che tu puoi bruciar una rosa e farla rinascere dalle ceneri per opera della tua arte. Lascia che io sia testimone di questo prodigio. Ecco ciò che chiedo, poi la mia vita sarà tua.”"Sei molto credulo", disse il maestro."Non so che farmene della credulità; esigo la fede."L'altro insistette."E’ proprio perché non sono credulo che voglio vedere coi miei occhi l'annienta­mento e la resurrezione della rosa."Paracelso l'aveva presa in mano, e parlan­do giocherellava con essa.“Sei credulo” disse “Tu dici che io sono capace di distruggerla?""Nessuno è incapace di distruggerla ", rispose il discepolo.“Ti sbagli. Credi forse che qualcosa possa esser reso al nulla? Credi che il Primo Adamo nel Paradiso abbia potuto distrug­gere un solo fiore, un solo filo d'erba?"“Non siamo nel Paradiso”, disse ostinato il giovane; “qui, sotto la luna, tutto è morta­le.” Paracelso si era alzato in piedi."E in quale altro luogo siamo? Credi che la divinità possa creare un luogo che non sia il Paradiso? Credi che la caduta sia altro dall'ignorare che siamo nel Paradiso?""Una rosa può bruciare", disse il discepolo in tono di sfida.“V'è ancora del fuoco nel camino", rispose Paracelso. "Se tu gettassi questa rosa fra le braci, crederesti che le fiamme l'abbiano consumata e che sia la cenere a essere reale. lo ti dico che la rosa è eterna e che solo la sua apparenza può cambiare. Mi basterebbe una parola perché tu la potessi vedere di nuovo.""Una parola?" disse stupefatto il discepo­lo. "L'athanor è spento, gli alambicchi sono coperti di polvere. Che, farai per farla rinascere?"Paracelso lo guardò con tristezza.“L'athanor è spento", ripeté, "e gli alam­bicchi sono coperti di polvere. In questo tratto della mia lunga giornata uso altri strumenti.”"Non oso domandare quali", disse l'altro con malizia o con umiltà."Parlo di quello che usò la divinità per creare il cielo e la terra e l'invisibile Paradi­so in cui ci troviamo e che ci è nascosto dal peccato originale. Parlo della Parola che ci insegna la scienza della Cabala." Il discepolo disse freddamente:"Ti chiedo la grazia di mostrarmi la scom­parsa e la ricomparsa della rosa. Poco m’importa che tu operi per mezzo del Ver­bo o degli alambicchi."Paracelso rifletté. Infine disse:"Se lo facessi, tu diresti che si tratta di un'apparenza imposta ai tuoi occhi dalla magia. Il prodigio non ti donerà la fede che cerchi. Dunque lascia stare la rosa."Sempre diffidente, il giovane lo guardò. Il maestro alzò la voce e gli disse:“E inoltre, chi sei tu per introdurti nella dimora di un maestro ed esigere da lui un prodigio? Che hai fatto per meritare simile dono?"L’altro replicò, tremando:"So bene che non ho fatto nulla. Ti chiedo ­in nome del molti anni in cui studierò alla tua ombra, di lasciarmi vedere la cenere e poi la rosa. Non ti chiederò altro. Crederò alla testimonianza dei miei occhi.”Bruscamente, afferrò la rosa rossa che Paracelso aveva lasciato sul leggìo e la get­tò tra le fiamme. Il colore si perse e rimase solo un po' di cenere. Per un istante infinito egli attese le parole e il miracolo. Paracelso era rimasto impassibile. Disse con strana semplicità:"Tutti i medici e tutti gli speziali di Basilea affermano che io sono un mistificatore. Forse essi sono nel vero. Qui riposa la cene­re che fu rosa e che non lo sarà” il giovane si sentí pieno di vergogna. Para­celso era un ciarlatano o un semplice visio­nario, e lui, un intruso, aveva varcato la sua porta e ora lo costringeva a confessare che le sue famose arti magiche erano vane.Si inginocchiò, e disse:"Ho agito imperdonabilmente. Mi è man­cata la fede che il Signore esigeva dai cre­denti. Lasciami ancora guardare la cenere. Tornerò quando sarò piú forte e sarò tuo discepolo e in fondo al cammino vedrò la rosa."Parlava con passione autentica, ma quella passione era la pietà che gli ispirava il vec­chio maestro, tanto venerato, tanto attac­cato, tanto insigne e perciò tanto vuoto. Chi era lui, Johannes Grisebach, per sco­prire con mano sacrilega che dietro la maschera non c'era nessuno?Lasciare le monete d'oro sarebbe stata un elemosina. Le riprese uscendo.Paracelso l'accompagnò al piedi della scala e gli disse che sarebbe sempre stato il benvenuto.Entrambi sapevano che non si sarebbero visti mai piú.Paracelso rimase solo. Prima di spegnere la lanterna e di sedersi nella poltrona consunta, raccolse nell'incavo della mano il picco­lo pugno di cenere e disse una parola a bassa voce.
La rosa risorse.

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